domenica 27 settembre 2015

Alcune precisazioni sul referendum delle Regioni [di Enzo Di Salvatore]

Enzo Di Salvatore, docente di Diritto Costituzionale dell'Università di Teramo e membro del Coordinamento Nazionale NoTriv chiarisce alcuni dubbi in merito ai referendum notriv abrogativi dell'art.35 del "Decreto Sviluppo" e di alcune parti dell'art.38 dello "Sblocca Italia". 




In che senso il referendum sull’art. 35 del decreto sviluppo del 2012 riguarderebbe anche quelle Regioni che non siano al momento interessate da procedimenti in corso per il rilascio dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione di idrocarburi?

Nel 2010, a seguito del disastro petrolifero occorso nel Golfo del Messico, il Governo Berlusconi aveva introdotto nel Codice dell’ambiente una norma con la quale si vietavano la ricerca e l’estrazione del petrolio entro le cinque miglia marine. Questo divieto aveva ad oggetto due ipotesi diverse: le attività petrolifere future e i procedimenti amministrativi non ancora conclusi con il rilascio di un permesso di ricerca o di una concessione di coltivazione. In presenza di un’area marina o costiera protetta, il divieto avrebbe interessato il tratto di mare prospiciente la costa per dodici miglia marine.
Due anni dopo, il Governo Monti interveniva nuovamente sul punto e con l’art. 35 del decreto sviluppo estendeva quel divieto fino alle dodici miglia marine ovunque, facendo, tuttavia, salvi i procedimenti bloccati dal Governo Berlusconi. A seguito di ciò, il Ministero dello sviluppo economico riavviava tutti i procedimenti bloccati: venticinque progetti in tutto, ai quali nel prossimo futuro se ne aggiungeranno altri, come quelli relativi alle attività di prospezione che effettuerà la società Spectrum Geo: un progetto enorme destinato ad esplorare i fondali del mare Adriatico per 30.000 chilometri quadrati e che, terminata la fase della ricerca, verrà ulteriormente “spacchettato” in numerosi progetti di estrazione.
Il quesito referendario sull’art. 35 del decreto sviluppo ha ad oggetto la normativa introdotta dal Governo Monti, con la quale si è rimosso il divieto stabilito dal Governo Berlusconi: esso, pertanto, riguarda solo le attività ancora da autorizzare e non anche le attività già autorizzate.
Tale quesito, invero, interessa anche i tratti di mare di quelle Regioni che al momento non sono interessate da procedimenti in corso, giacché il risultato complessivo che discenderebbe dalla volontà popolare manifestata attraverso il referendum sarebbe quello di non volere né nuove ricerche né nuove estrazioni di idrocarburi entro le acque territoriali. A seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non potrebbero, infatti, né reintrodurre la norma che consente ai procedimenti in corso di concludersi né rimuovere il limite, applicabile ovunque, della ricerca e dell’estrazione entro le dodici miglia marine: l’obiettivo del quesito proposto è esattamente quello di far sì che il divieto di estrarre idrocarburi entro le acque territoriali sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato (v. ad es. sentenza n. 199 del 2012), il Legislatore successivo non può ledere la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria, ponendo nel nulla e vanificando l’effetto utile che dalla stessa discenderebbe. Diversamente – e cioè qualora non si arrivasse ad un pronunciamento popolare di segno positivo – la rimozione del divieto sarebbe in ogni momento possibile.

Quali Regioni sarebbero interessate dall’abrogazione dell’art. 38 dello Sblocca Italia?

Oltre all’abrogazione referendaria dell’art. 35 del decreto sviluppo, le Regioni propongono di abrogare anche alcune disposizioni dell’art. 38 dello Sblocca Italia. Non si tratta di una proposta finalizzata ad un’abrogazione totale di tale articolo, in quanto, alla luce dell’orientamento seguito dalla Corte costituzionale, ciò non sarebbe ammissibile.
I quesiti proposti investono principalmente la “questione democratica”, ossia la partecipazione delle Regioni alle decisioni assunte dallo Stato sia in fase di pianificazione delle attività sia in ordine ai singoli progetti di ricerca ed estrazione degli idrocarburi. Esse interessano tutte le Regioni ed anche gli Enti locali; in quest’ultimo caso, in relazione al rilascio dell’intesa da parte della Conferenza unificata sul “piano delle aree”, che dovrà stabilire dove si potranno effettuare la ricerca e l’estrazione nel nostro Paese.
Nello Sblocca Italia si legge che «le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione». Per parte sua, l’art. 38 dello Sblocca Italia stabilisce chiaramente che il «titolo concessorio unico» sia accordato «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la regione o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano territorialmente interessata». Il riferimento alle Province autonome di Trento e Bolzano lascia, appunto, intendere che la disciplina del procedimento trovi applicazione anche alle Regioni a Statuto speciale.

Cosa accade se nel frattempo il Parlamento o il Governo dovessero intervenire e modificare la normativa oggetto di referendum?

Qualora il Parlamento (con legge) o il Governo (con decreto-legge) dovessero intervenire e abrogare le singole disposizioni oggetto di referendum, il referendum non avrà più corso. La Corte costituzionale, con sentenza n. 68 del 1978, ha, tuttavia, chiarito che se l’abrogazione di tali disposizioni non dovesse corrispondere nella sostanza a quella proposta con il referendum, il referendum si celebrerà comunque ed avrà ad oggetto la nuova normativa.

Qual è il rapporto che corre tra il referendum e i ricorsi promossi dalle Regioni dinanzi alla Corte costituzionale sull’art. 38 dello Sblocca Italia?

Il referendum promosso dai Consigli regionali e i ricorsi presentati dalle Regioni alla Corte costituzionale hanno entrambi ad oggetto solo alcune disposizioni dell’art. 38 del decreto Sblocca Italia; essi si muovono, tuttavia, su piani differenti: il referendum agisce sul piano del merito (politico) delle scelte effettuate dal Legislatore; i ricorsi sul piano della legittimità costituzionale di quelle scelte.
Il fatto che siano ancora pendenti i ricorsi davanti al giudice costituzionale non rende inutile il referendum delle Regioni. Può darsi che la Corte consideri le norme impugnate illegittime o può darsi che le consideri perfettamente legittime. Ma in nessuno dei due casi il referendum resterebbe privo di significato. Solo parzialmente,infatti, le norme impugnate coincidono con il referendum deliberato: i quesiti proposti possiedono una propria ragion d’essere “unitaria”, in quanto incidono, più in generale, su ogni decisione relativa alla ricerca e all'estrazione degli idrocarburi; persino sulla partecipazione delle Regioni alle decisioni in ordine alle attività strumentali alla ricerca e all'estrazione. Uno dei quesiti proposti investe, ad esempio, la legge n. 239 del 2004 di riordino del settore energetico, che non è stata (non poteva esserlo) fatta oggetto di impugnazione davanti alla Corte.

Qual è il rapporto che corre tra il referendum delle Regioni e la revisione del Titolo V della Costituzione attualmente in itinere?

La revisione del Titolo V della Costituzione attualmente in itinere si propone, tra le altre cose, di modificare anche il riparto della competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni, riconducendo all’esclusiva competenza dello Stato la disciplina dell’energia. Fermo restando che al momento non è possibile conoscere l’esito del procedimento di revisione costituzionale, l’eventuale riconduzione della materia energetica alla competenza esclusiva dello Stato non renderebbe superfluo il referendum. La normativa che restasse in piedi a seguito di un esito positivo del referendum abrogativo non sarebbe di per sé illegittima: è una scelta dello Stato (in questo caso del corpo elettorale) prevedere che alle decisioni dello Stato in fatto di energia partecipino anche le Regioni e gli Enti locali. Certo, a seguito della revisione costituzionale (se supererà indenne il referendum previsto dall’art. 138 della Costituzione, si intende) il Parlamento potrebbe anche stabilire che le Regioni e gli Enti locali non debbano più partecipare alle decisioni assunte dallo Stato in materia di ricerca ed estrazione degli idrocarburi; ma per stabilire ciò occorrerebbe, appunto, una nuova legge, che modifichi l’esito referendario. Il che, mentre non costituirebbe un problema in relazione ad una eventuale pronuncia di illegittimità della Corte costituzionale sullo Sblocca Italia (essendo il quadro costituzionale ormai cambiato), lo sarebbe, però, in relazione all'esito referendario: Il Titolo V riscritto non vieta né impone che lo Stato possa continuare a coinvolgere gli Enti territoriali. Ragion per cui, sebbene conforme al nuovo Titolo V, una decisione dello Stato che escludesse successivamente con legge le Regioni e gli Enti locali dalle decisioni in materia di energia annullerebbe chiaramente l'eventuale esito positivo del referendum. E questo costituirebbe un problema: sia giuridico (che investe, come sempre, il problema dei limiti dell'intervento del Legislatore successivo all'esito referendario) sia politico. La Corte costituzionale, come si è detto, è stata chiara: non si può successivamente reintrodurre una norma abrogata per via referendaria perché altrimenti resterebbe vanificato l'esito referendario.



foto di Francesco Delia - R.A.S.P.A
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