giovedì 4 settembre 2014

Osservazioni dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi

OggettoOsservazioni dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi in merito alle comunità biologiche vegetali ed animali all’istanza per l’avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale del progetto di: “Prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare” - Intervento di indagine geofisica 2D, ed eventuale 3D, nell’area dell’istanza di permesso di ricerca in mare; il progetto è localizzato nel bacino dell’Adriatico meridionale, all’interno dell’area marina “F”, al largo delle coste pugliesi e comprende le sottozone, d80 F.R-.GP ; d81 F.R-. GP ; d82 F.R-.GP ; d83 F.R-.GP. Richiesta di rigetto del progetto.
Il Mar Mediterraneo è un bacino quasi completamente chiuso, dove l'afflusso continuo di acqua di superficie dall'Oceano Atlantico è la principale fonte del mare di rifornimento e rinnovo dell’ acqua. E’ un mare relativamente povero di nutrienti e con una produttività relativamente più bassa rispetto ad altri mari, a fronte comunque di comunità viventi ricche di specie vegetali ed animali che lo rendono unico ed incomparabilmente fragile allo stesso tempo.
La continua pressione antropica che insiste sul bacino varia secondo le aree e, per esempio, nel Mar Ionio settentrionale oggi insiste la prospettiva di una larga campagna di prospezione marina per l’estrazione di idrocarburi, programmata dagli organi di Governo nazionale già a partire dalla cessazione del divieto di ricerca ed estrazione di petrolio nel Golfo di Taranto secondo quanto stabilito dal Decreto 128 del giugno 2010.
L’impiego di trivelle per l’esplorazione dei fondali marini alla ricerca di giacimenti di gas e/o petrolio è un’ attività che comporta importanti perturbazioni degli ambienti marini e delle comunità viventi che le abitano, con tempi di recupero molto lunghi e, spesso, totalmente sconosciuti a priori. Le conoscenze attuali degli effetti di questo tipo di attività si basano, infatti, sull’analisi dei danni arrecati all’ambiente quando questi si sono oramai già verificati e, paradossalmente, tali conoscenze non possono aiutare a prevedere cosa potrebbe accadere in aree marine che ancora non hanno subito l’impatto di tali attività.
La letteratura scientifica mondiale mette in evidenza gli effetti dannosi di ispezioni sismiche, ricerca di idrocarburi ed estrazione di petrolio per la vita acquatica anche delle vicine comunità costiere. Non vengono presi in considerazione gli effetti reali a lungo termine su comunità animali e vegetalipesca, stabilità dei fondali marini ed inquinamento delle acque. Sono assolutamente trascurati i probabili impatti ambientali che potrebbero derivare dalle attività in oggetto quali scoppi di pozzi, dispersione in mare di rifiuti speciali, anche tossici, o la subsidenza. Ad es. l’EPA (Environmental Protection Agency) ha rilevato la presenza nei fluidi perforanti di contaminanti quali metalli pesanti, benzene e toluene.
In particolare, per quanto riguarda le comunità vegetali, quelle che potrebbero essere interessate da possibili impatti negativi comprendono:
1)Praterie a fanerogame, prima fra tutte Posidonia oceanica.
Questa è la specie più importante per complessità, persistenza ed estensione delle sue praterie. Per la sua sensibilità alle variazioni delle condizioni ambientali è considerata un buon indicatore biologico della qualità delle acque. Essa rientra tra gli habitat prioritari ai sensi della Direttiva Habitat (43/92/CEE) ed è inclusa nelle liste delle specie da tutelare della Convenzione di Berna e della Convenzione di Barcellona. Infatti, le praterie di Posidonia svolgono nell'ambiente marino numerosi ruoli fondamentali:
a)elevata produzione di ossigeno: l’ossigeno prodotto durante la fotosintesi (circa 14 l/m2/anno) contribuisce notevolmente all’ossigenazione delle acque. Si ritiene che da 1 mdi prateria vengano prodotti giornalmente da 4 a 20 l di ossigeno e conseguentemente, grazie agli scambi esistenti all’interfaccia acqua-aria, P. oceanicarappresenti una produttrice di ossigeno anche per gli ambienti terrestri, almeno in alcuni periodi dell'anno.
b)elevata produzione di materia organica: la produzione di sostanze organiche è pari a circa 20 t/ha/anno. La grande quantità di sostanza organica prodotta costituisce una fonte di cibo diretta e indiretta per numerosi organismi ed è il punto di partenza di una complessa rete trofica che coinvolge sia la catena del detrito (con le foglie morte) che quella del pascolo.
c)zona di riproduzione e nursery e polo di biodiversità: le praterie di P. oceanica rivestono notevole importanza per l’elevatissima diversità ecologica delle comunità animali associate, costituendo una sorta di nursery e rifugio per un grande numero di organismi, tra cui anche specie d’ importanza commerciale, come pesci, cefalopodi e crostacei o specie minacciate come il mollusco Pinna nobilis. Il posidonieto è uno degli ecosistemi mediterranei più importanti per il suo ruolo ecologico e per la biodiversità che ospita (secondo alcuni autori dal 20 al 25% delle specie mediterranee).
d)riduzione dell’idrodinamismo: il posidonieto contribuisce alla riduzione dell’energia delle correnti e delle onde, protegge le spiagge, favorisce la decantazione e la sedimentazione delle particelle sospese in acqua; si stima che una perdita di 1 m di prateria possa causare una regressione della linea di costa di quasi 20 m.
e)stabilizzazione del fondale marino: con il sistema dei rizomi e delle radici, P. oceanica contribuisce alla stabilità dei fondali incoerenti; un’ ulteriore protezione delle spiagge sabbiose è data dall’accumulo delle foglie morte spiaggiate.
La regressione delle praterie è un fenomeno che sta coinvolgendo tutte le fanerogame a livello mondiale. Una delle cause è sicuramente rappresentata da sostanze altamente inquinanti, le cui caratteristiche tossicologiche provocano danni letali a livello istologico e alterano i processi di accrescimento della pianta. Gli idrocarburi, in particolare, formando un sottile film sulla superficie dell’acqua, ostacolano la penetrazione della luce e, depositandosi sulle foglie, ne riducono gli scambi gassosi. Un effetto nocivo simile è espletato da una eccessiva sedimentazione. Nello studio effettuato non viene preso in considerazione il rischio di aumento di torbidità delle acque che potrebbe essere direttamente o indirettamente causato dalle attività di ricerca e di successiva estrazione di idrocarburi con conseguenti effetti negativi su Posidonia.
2)Macroalghe delle biocostruzioni marine.
Alla costruzione e consolidamento delle biocostruzioni marine, in sinergia con animali a scheletro calcareo, partecipano numerose alghe calcaree; altre macroalghe a tallo molle che colonizzano i substrati organogeni, danno luogo a complessi paesaggi con stratificazione verticale e una ricca variabilità orizzontale. Le biocostruzioni svolgono alcuni ruoli fondamentali agendo da zone nursery e creando una complessa rete trofica formata da costruttori, demolitori, filtratori, macroalghe, erbivori e carnivori. In questi particolari ambienti non vanno inoltre trascurate le attività legate alla pesca e al turismo subacqueo. Tra le biocostruzioni marine, il coralligeno rappresenta un importante hotspot di biodiversità nonché habitat prioritario di salvaguardia nell’ambito del protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona (recepita in Italia con la legge n. 175 del 27 maggio 1999) denominato Biocenosi del coralligeno (codice IV.3.1) (Relini & Giaccone 2009). Nel circalitorale la biodiversità delle sole macroalghe del coralligeno, senza contare le numerose specie animali, ammonta a circa 316 specie. Questo habitat è presente in diversi punti del litorale che è oggetto di richiesta delle concessioni, come è evidenziato nella mappa seguente:
 I simboli rossi indicano le segnalazioni di biocenosi del coralligeno lungo le coste pugliesi, mentre i simboli in verde rappresentano i luoghi in cui tali habitat prioritari rientrano nell’ambito di aree marine protette (da Relini & Giaccone 2009).
3)Comunità a Cystoseira.
Il genere Cystoseira comprende alghe brune parzialmente o interamente perennanti e per lo più di dimensioni cospicue. Alcune specie, presenti anche lungo i tratti di costa interessati, in condizioni edafiche ottimali strutturano popolamenti omogenei in grado di ospitare una ricca e diversificata componente animale e vegetale. Si tratta in effetti di strutture vegetazionali ad elevata biodiversità al cui interno si intrecciano complesse relazioni biotiche che rendono questi popolamenti estremamente sensibili ad un ampio spettro di stress ambientali.
Invece, per quanto riguarda le comunità animali, in merito alle richieste inoltrate dalla Global Petroleum Limited al Ministero dell'Ambiente per le ispezioni dei fondali prospicienti la zona tra Molfetta e Brindisi, si segnala che la zona era già stata oggetto d’indagine a cavallo degli anni 2000 da parte della Compagnia Petrolifera ENI-AGIP , tanto che il Laboratorio di Biologia Marina di Bari ebbe l’opportunità di organizzare, con i loro fondi, la prima indagine a livello della Fossa di Bari (al largo di Molfetta), che rappresenta la zona più profonda di tutto l’Adriatico. Per quanto di nostra competenza, in quell’occasione fu organizzata una campagna di pesca a strascico su fondali profondi, compresi tra 826 e 1196 m, dove fu segnalata per la prima volta la presenza di tre specie di teleostei (Ungaro et al., 2001). Successivamente ulteriori studi dimostrarono che una delle tre specie di teleostei, Coelorinchus occa, apparteneva ad una nuova specie per l’Adriatico (Ungaro et al., 2001), tanto che fu proposta la classificazione di questa con il nome di Coelorinchus mediterraneus (Iwamoto & Ungaro, 2002); in seguito ulteriormente inserita nella Red List dello IUNC (Di Natale et al., 2013: http://www.iucnredlist.org/details/194819/0).
Alla luce di quanto esposto, quindi, la richiesta d’intervento di indagine geofisica della GPL, con la sua zona F, ricopre proprio l’area già in passato indagata e che racchiude un notevole patrimonio di biodiversità, con la presenza di endemismi che dovrebbero essere ulteriormente investigati, come i citati riferimenti bibliografici dimostrano ampiamente. In merito alle procedure di VIA, tali ricerche dovrebbero essere tenute necessariamente in debita considerazione; a tal proposito, dalla lettura dello studio di impatto ambientale prodotto dalla società proponente il progetto, non sembra che sia stata in alcun modo considerata la bibliografia riportata in questa sede nel paragrafo relativo all’ittiofauna (4.4.2) e ciò, di certo, ne compromette l’attendibilità e la conseguente relativa stima di significatività.
In conclusione, non è opportuno continuare a sottoporre tale area marina ad enormi rischi d’ inquinamento ambientale che sono inevitabilmente da prevedere se si darà avvio alle campagne di prospezione per la ricerca di idrocarburi nei fondali marini. L’estrazione di gas e/o petrolio, che si prospetta come passaggio successivo a quella dell’attività investigativa, comporta inoltre altrettanti pericoli per la salvaguardia dell’ecosistema marino in termini di rischio di inquinamento derivante dalle attività operative che normalmente si svolgono in queste piattaforme estrattive ed anche da possibili incidenti, inadempienze o eventi imprevedibili.
Il tratto di Mare oggetto delle investigazioni è ancora oggi un mare che ospita specie animali e vegetali di enorme importanza per la biodiversità marina, annoverando la presenza di cetacei, tartarughe marine, squali e praterie di posidonia (habitat necessario alla riproduzione di innumerevoli altre specie marine). Non è da sottovalutare anche la ricchezza delle risorse alieutiche di quest’area marina, nonostante l’enorme pressione delle attività di pesca a strascico e pelagica che concorrono alle economie locali e nazionale con la produzione importantissima di gamberi rosa, rosso e viola e di altre specie ittiche di alto valore commerciale (merluzzo, pesce spada, tonno rosso, etc.).
Proprio le specie demersali sono le più a rischio, in caso di attività di estrazione di idrocarburi, poiché sono più a contatto con i fondali marini (almeno per una buona parte del loro ciclo vitale) e subirebbero pertanto un impatto la cui entità non è affatto prevedibile. Le ripercussioni non tarderebbero a farsi sentire in tutto l’ecosistema marino, che come è noto resta pur sempre un ecosistema fragile ed ancora non del tutto conosciuto.
Non è ormai più accettabile la posizione di un paese che continui ad investire enormi risorse economiche sulla ricerca degli idrocarburi, nonostante le tecnologie moderne consentono oramai di indirizzare gli sforzi nella implementazione di fonti di energia alternative e, allo stesso tempo, nell’abbracciare una nuova filosofia designata al risparmio energetico, nonché al recupero e riciclo di flussi energetici che sono impiegati in ogni attività lavorativa.
È tempo che le comunità locali facciano sentire la propria voce, per segnalare con forza il malessere di una popolazione che ha voglia di benessere (non solo economico…), crescita e lavoro più legati alle ricchezze che il nostro paese offre in termini di turismo, arte, natura, e che non ha alcuna fiducia sugli effettivi vantaggi che l’estrazione di idrocarburi farebbe ricadere sul territorio.
Osservazioni a cura di Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (A.B.A.P.)
Antonella Bottalico (A.B.A.P.); Michele Deflorio (A.B.A.P.); Elvira Tarsitano (A.B.A.P.); Alessandro Vlora (A.B.A.P./CAEB). Per l’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi

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