giovedì 21 agosto 2014

Economia Collettiva e Sismicità relativa

I commenti pubblicati sull’articolo della testata web “Giovinazzo Live” a firma di Domenico 1990, ci permettono di ragionare su due questioni importanti emerse nelle sue riflessioni, ovvero, il modello economico norvegese e la mancanza di correlazione tra l’estrazione d’idrocarburi in Emilia Romagna ed i terremoti che in questi anni hanno colpito la regione. Come Coordinamento No Triv Terra di Bari, non ci sentiamo di rappresentare quel vasto movimento del “no” spesso agitato come spauracchio dai governi centrali e locali come causa di una visione miope ed antistorica, lontana dalle esigenze delle comunità e dalle necessità di creare sviluppo con l’illusione di posti di lavoro certi e permanenti. 

C’interessa invece, seriamente, ragionare di quanto avviene in Norvegia, oggi, terzo paese al mondo produttore di petrolio. Il paese nordico ha da subito ragionato di un sistema pubblico che permettesse, sin dall’inizio, di gestire le economie provenienti dalle attività estrattive attraverso la Statoil, società controllata dallo stato che sviluppasse competenze locali nel campo petrolifero, il Direttorato Petrolifero che si occupasse delle concessioni e delle tecnologie utilizzate ed il Fondo Monetario che raccogliesse i proventi, indirizzandone una parte verso le politiche sociali mentre il resto veniva investito in altri fondi internazionali, andando ad accrescere la ricchezza pro capite dei norvegesi. Questo percorso che parte dagli inizi degli anni ’70 ed arriva sino ai giorni nostri non ha mai visto un arretramento del pubblico rispetto al rapporto con le multinazionali che estraggono al largo della Norvegia, dato che hanno trovato sempre un interlocutore nello stato come co–investitore attivo e non passivo, consapevole che il proprio ruolo deve essere quello dell’utilizzo delle risorse naturali per promuovere il benessere dell’intera comunità, controllando che lo stesso sviluppo non vada ad intaccare eccessivamente il territorio. Tornando al nostro Paese (l’Italia), nel dibattito tornato a svilupparsi in questi mesi sulla necessità di esaminare il fondale dell’Adriatico (e non solo) alla ricerca di giacimenti d’idrocarburi da poter sfruttare, non abbiamo colto nelle riflessioni della politica nazionale alcuna riflessione minimamente avvicinabile a quelle fatte, a loro tempo, in Norvegia. Il ruolo del pubblico ci sembra più quello di un ratificatore dei desiderata esterni provenienti dalle varie multinazionali, interessate al nostro sottosuolo più per le bassissime royalties da destinare all’Italia che per un reale investimento su competenze e tecnologie innovative. Questa mancanza di visione politica, abilmente nascosta dal richiamo alla vicina Croazia ed alla sua disponibilità a concedere il permesso ad esaminare e trivellare il fondale marino come competitor che priverà l’Italia di eventuali ricchezze, pensiamo sia un motivo sufficiente ad opporre un fermo rifiuto alle richieste della Global Petroleum Limited ed in generale ad una politica energetica italiana incapace di esercitare un forte controllo pubblico sulle dinamiche economiche legate all’energia con una visione che esplori nuove modalità d’investimento sul territorio, volte ad una necessaria riduzione dei consumi e ad una riflessione collettiva che renda partecipi i territori delle scelte. Sulla seconda questione posta della correlazione tra le estrazioni d’idrocarburi ed i terremoti che hanno colpito duramente l’Emilia Romagna, si fa riferimento ai risultati della Commissione Ichese. Nella relazione finale ci sembra di particolare interesse la parte che risponde al secondo quesito, ovvero, “è possibile che la crisi emiliana sia stata innescata da attività di sfruttamento o di utilizzo di reservoir, in tempi recenti e nelle immediate vicinanze della sequenza sismica del 2012?”. In un passaggio viene detto che “in base alla sismicità storica della zona si può ritenere molto probabile che il campo di sforzi su alcuni segmenti del sistema di faglie nel 2012 fosse ormai prossimo alle condizioni necessarie per generare un terremoto di magnitudo locale intorno a 6”, ma assume interessante rilevanza, nella parte finale, questo enunciato, “La Commissione ritiene altamente improbabile che le attività di sfruttamento d’idrocarburi a Mirandola e di fluidi geotermici a Casaglia possano aver prodotto una variazione di sforzo sufficiente a generare un evento sismico indotto. L’attuale stato delle conoscenze e l’interpretazione di tutte le informazioni raccolte ed elaborate non permettono d’escludere, ma neanche di provare, la possibilità che le azioni inerenti lo sfruttamento d’idrocarburi nella concessione di Mirandola possano aver contribuito ad innescare l’attività sismica del 2012 in Emilia”. Quindi l’atteggiamento è di estrema cautela, legato alla mancanza di dati che permettano ulteriori indagini ed una ricerca “giovane” che si sta sviluppando in questi anni sul tema della correlazione tra ricerca degli idrocarburi e terremoti, tale da non permettere di sviluppare protocolli di sicurezza efficienti. Quindi non si può parlare di mancanza di correlazione tra gli eventi, ma piuttosto di una situazione che andrebbe ulteriormente approfondita a livello pubblico con un’attività di ricerca statale e non controllata da quelle stesse multinazionali che si occupano di promuovere le attività estrattive. Ovviamente, come coordinamento, siamo sempre pronti ad un confronto con tutti coloro che pongano questioni d’interesse collettivo per sviluppare una riflessione che non si fermi alle banalità, ma s’impegni a ragionare di una nuova visione del pubblico che sappia prendere gli aspetti positivi ed investire sul suo potenziamento per creare un efficace contraltare al prevalere d’interessi privati ed istinti individualisti propri della società in cui viviamo. 


Coordinamento No Triv Terra di Bari
Gruppo Molfetta-Giovinazzo

     foto di Domenico Loiacono - RumoreCollettivo
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